“Dottrina Minniti un suicidio, la vittoria del sì al referendum sulla cittadinanza può invertire la rotta”, parla Miraglia

Responsabile immigrazione Arci nazionale
«Il raggiungimento del quorum e il Sì al referendum potrebbero spingere le forze dell’opposizione, che hanno cambiato atteggiamento ma non hanno archiviato del tutto quella stagione, a scegliere più esplicitamente il tema dei diritti come terreno di conquista di consenso e non argomento di cui avere paura»

Filippo Miraglia, responsabile immigrazione Arci nazionale: La seconda carica dello Stato, il presidente del Senato Ignazio La Russa, proclama la sua intenzione di fare campagna per il non voto ai referendum dell’8 e 9 giugno. Che democrazia è questa? La destra italiana, o forse sarebbe meglio dire l’estrema destra, ha dimostrato in questi due anni e mezzo di governo e di maggioranza in Parlamento di non avere alcun senso delle Stato e nessun rispetto delle Istituzioni. Sono tanti i casi che si potrebbero citare a partire dalle vicende che hanno visto protagonisti Ministri e Sottosegretari. Il presidente del Senato non è estraneo ad uscite che evidenziano un certo disprezzo per i ruoli istituzionali. La seconda carica dello Stato potrebbe entrare nel merito, ne ha il diritto, del voto referendario ed esprimere la sua opinione. Ma invitare al non voto è davvero intollerabile per chi ricopre un ruolo così importante. Forse La Russa dimentica, quando gli fa comodo, che il voto è uno dei fondamenti delle democrazie e che è importante sempre invitare i cittadini e le cittadine a recarsi alle urne quando sono chiamat3 a farlo. Ma è evidente che nella destra italiana prevale l’interesse di parte a quello generale, lo stanno dimostrando ogni giorno da quando sono arrivati nelle stanze del Governo.
Cittadinanza, lavoro, diritti sociali. Grandi temi, quelli posti dai 5 quesiti referendari, su cui l’Arci si è spesa molto in questi anni. Per noi questo appuntamento è molto importante e stiamo cercando di attivare tutta la nostra rete per arrivare all’obiettivo, difficile ma possibile, del quorum. Già la raccolta delle firme sul referendum della cittadinanza, per la quale ci siamo impegnati fin dal primo momento, sembrava un obiettivo difficile. Eppure, è stato raggiunto con grande slancio e in pochissimi giorni. Qui l’asticella è più alta, ma siamo convinti che ci sia una parte maggioritaria della nostra società che ha voglia di partecipare, se viene chiamata su obiettivi concreti e senza ambiguità. I diritti dei lavoratori e delle lavoratrici e i diritti degli stranieri sono questioni concrete e centrali per la qualità della nostra democrazia. Definiscono in maniera chiara che tipo di società vogliamo. Da un lato, con il voto ai referendum e il Sì c’è una società inclusiva e aperta, dove l’uguaglianza tra le persone e la loro dignità sono il punto di riferimento centrale. Dall’altra c’è una società chiusa, che esclude e discrimina e dove il profitto conta più delle persone, della loro stessa vita. A differenza delle elezioni, dove spesso c’è ambiguità e le persone non partecipano perché non si sentono rappresentate, con i referendum è più chiaro e diretto il motivo per andare a votare. Per questo nutriamo grande fiducia nel raggiungimento dell’obiettivo del quorum, anche se sappiamo che gli ultimi giorni sono decisivi e che bisogna lavorare per attivare ogni nostr3 soci3 e dirigente.
Cittadinanza significa inclusione, accoglienza, una visione multietnica e multiculturale di una comunità nazionale. Un sì al referendum non è anche un grande NO al securitarismo e alla demonizzazione dell’altro da sé, migrante, rifugiato, straniero, su cui la destra continua a martellare? La cittadinanza non è un argomento immediatamente sovrapponibile all’immigrazione. La concessione della cittadinanza riguarda persone che sono qui da molti anni stabilmente e che hanno scelto l’Italia come Paese dove vivere e crescere i loro figli. Chi può chiedere la cittadinanza rispetta anche le condizioni per essere un lungo residente, e quasi sempre ha già un permesso di soggiorno a questo titolo. Bisogna rispettare condizioni molto stringenti che implicano una stabilità lavorativa, economica e sociale. La campagna di criminalizzazione dell’immigrazione ha però avuto conseguenze anche sul tema della cittadinanza che è stata anch’essa travolta dalla valanga di odio e rancore prodotto dalle destre xenofobe, in assenza di risposte adeguate da parte delle forze democratiche e di sinistra. Il fallimento della riforma che ha visto il centro sinistra ritirarsi all’ultimo passaggio della modifica legislativa che riguardava solo i minorenni al Senato, dopo l’approvazione alla Camera nel 2017, è stata purtroppo la dimostrazione che mentre le destre xenofobe usano l’immigrazione per orientare l’elettorato, costruire egemonia, le forze del centro sinistra, con qualche eccezione per fortuna, hanno paura degli elettori. E la paura porta a prendere posizioni che, quando va bene, stanno dentro un quadro definito dalle destre. In molti casi inseguendo le loro posizioni. Stando sempre al 2017, la “dottrina Minniti” è stata la più esplicita in questo senso: accettando la rappresentazione costruita dalle destre, ha messo in campo risposte efficaci sul loro terreno. Un suicidio politico e culturale, come dimostrano i risultati delle elezioni del 2018 e il successo della macchina del rancore leghista. Il raggiungimento del quorum e il sì al referendum oggi, rappresenterebbe concretamente una inversione di marcia e forse potrebbe spingere le forze dell’opposizione, che nel frattempo va detto hanno cambiato atteggiamento, ma non hanno archiviato del tutto la stagione di Minniti, scegliere più esplicitamente il terreno dei diritti come terreno di conquista di consenso e non come argomento di cui avere paura e dal quale tenersi lontani.
Questi sono tempi di precarizzazione, di povertà da lavoro e non solo di disoccupazione. Una enorme questione sociale irrisolta. I dati che sono stati pubblicati di recente dall’Istat ci dicono che una parte crescente dei nostri giovani, e non solo i giovani, scelgono di andare all’estero per cercare condizioni di lavoro e sociali migliori. Tra questi giovani negli ultimi anni, cresce la percentuale di quelli di origine straniera che, pur essendo nati e/o cresciuti nel nostro Paese, non vedono nell’Italia un futuro dignitoso e solido per loro e le loro famiglie. La precarietà, i salari bassi e il lavoro povero, oltre che il progressivo ritiro dello Stato dai servizi essenziali, a partire dalla sanità e dalla scuola, sta rendendo il nostro Paese sempre meno accogliente per tutti, italiani e stranieri. Il declino è dietro l’angolo, se non è già iniziato, e la responsabilità è di una classe dirigente, non solo politica, senza visione e troppo spesso concentrata sul proprio interesse e sul presente. La bilancia demografica ci dice che, se non prendiamo decisioni importanti, se non investiamo sul nostro comune futuro, servizi per l’infanzia, scuola università e formazione, questo nostro Paese è destinato al declino da tanti punti di vista.
Libertà è partecipazione, cantava il grande Giorgio Gaber. La sinistra lo ha compreso? Non ne sono convinto. Forse quando lo diceva Gaber i dirigenti della sinistra avevano chiara la rilevanza di quell’idea e del ruolo della politica nel promuovere partecipazione e protagonismo dei soggetti sociali. Oggi è grande la distanza tra i partiti e la società. Noi, che siamo una organizzazione di promozione sociale, un ente del terzo settore, una associazione culturale e popolare, facciamo fatica ad avere una interlocuzione stabile e sana con i partiti. Negli ultimi anni sono stati troppo concentrati sulle dinamiche interne e sul destino dei singoli leader per accorgersi di quel che succedeva intorno a loro. Qualcosa sembra cambiare negli ultimi tempi. La leadership di Elly Schlein nel Partito Democratico sembra poter determinare un cambiamento. La coalizione che si è già presentata in diversi appuntamenti elettorali, al di là degli esiti, potrebbe imboccare la strada giusta. Vediamo un diverso interesse per ciò che succede nella società da parte di tanti e tante parlamentari. Ma ancora non siamo alla svolta che servirebbe. Troppe incertezze e ancora troppi calcoli basati su logiche interne e su l’interesse di singoli leader. Serve anche un impegno da parte nostra per promuovere partecipazione e protagonismo delle persone e delle comunità nello spazio pubblico. Ed è ciò su cui siamo impegnati in questa difficile stagione.
Si può essere di sinistra, o più semplicemente democratici, umani, senza indignarsi e protestare per l’immane pulizia etnica in atto a Gaza? Il genocidio dei palestinesi a Gaza e nei territori occupati è insopportabile. Non lascia spazio ad interpretazioni ambigue, molto presenti purtroppo in gran parte della politica e dei mass media. Questo governo, come l’Unione Europea, è chiaramente complice dello sterminio che si sta compiendo davanti agli occhi della comunità internazionale. Una comunità internazionale che ha fatto finta per decenni di non vedere quel che succedeva ai palestinesi. Il muro, l’apartheid, le uccisioni mirate. L’esproprio delle case e delle terre. Israele non è un Paese democratico, come ci ripetono ogni giorno tanti commentatori con gli occhi bendati. Milioni di persone vivevano, anche prima del 7 ottobre, in una grande gabbia, senza alcuna libertà e senza speranza. Umiliati e espropriati ogni giorno del loro futuro. Come si può chiamare democrazia un regime che fa questo a milioni di persone? Se la comunità internazionale, il nostro governo, l’UE, continueranno ad usare parole ridicole, imbarazzanti, di fronte alla strage di civili inermi che si compie ogni giorno a Gaza, di fronte ad un genocidio, alla pulizia etnica, il rischio che corriamo è davvero che si affermi, come sembra voler dire il presidente americano e tutti i suoi amici, la legge del più forte, senza alcun limite e senza alcun spazio di mediazione internazionale. Quel che succede a Gaza ci riguarda molto da vicino e bene hanno fatto i parlamentari e le parlamentari italiane partite in queste ore per l’Egitto a provare a portare solidarietà internazionale alle vittime palestinesi al valico di Rafah. Con loro anche alcune organizzazioni italiane tra cui l’Arci con il nostro presidente Walter Massa. Speriamo che serva a cambiare almeno in parte il modo in cui i governi stanno affrontando questa tragedia. Servirà uno sforzo collettivo per tenere alta l’attenzione ed allargare la protesta quanto più possibile.
l'Unità